La storia della principessa gnocca e del principe lesso

Qualche giorno fa, insieme a Torquitax, ho avuto occasione di trascorrere una delle serate più divertenti degli ultimi mesi. Ispirata dal post di Bianca, ho deciso di condividere con voi le matte risate che mi sono fatta. Premessa: dovete sapere che Torquitax mi sta gradualmente istruendo un sacco sulla cultura tedesca, un po’ facendomi da guida turistica in giro per Monaco, un po’ segnalandomi i posti più succulenti in cui andare – si veda libreria multi-piano Hugendubel – e un po’ prestandomi i DVD dei film che hanno fatto, ognuno a suo modo, la storia del cinema tedesco. Uno di questi è quello che sto per andare a recensire, ossia Drei Haselnüsse für Aschenbrödel  (Tre Nocciole per Cenerentola). Il film risale al 1973 ed è frutto di una cooperazione tra la ex DDR e la ex URSS. Tale Václav Vorlíček è il genio che si è occupato della regia di questo piccolo capolavoro. La storia è un mischione tra il classico racconto di Cenerentola come noi lo conosciamo, con la scarpetta in vetro (co-mo-dis-si-ma) e tutto, e contaminazioni varie da altre fiabe, nella quali la protagonista riceve in dono 3 nocciole fatate, per ognuna delle quali potrà esprimere un desiderio. Nel caso di Aschenbrödel, la ragazza riceve un vestito diverso per ciascuna delle difficili situazioni in cui si trova; tramite questo, ella riesce di volta in volta a pararsi ottimamente il didietro e ad uscire vittoriosa dal vicolo cieco in cui si trova. Unico dettaglio: i vestiti sembrano quelli acquistati all’Ipercoop nella sezione “Carnevale” allestita tipicamente in febbraio: cuciti – male – in Cina con materiali di quarta dai colori indefinibili, ma venduti allegramente in Occidente per 35 euro a botta. Si vede che la produzione comunista dell’epoca mirava al risparmio. E va beh, chiudiamo un occhio e facciamo finta che dalla noce, chiaramente in plastica ed anche questa acquistata ai grandi magazzini, emergano ogni volta meravigliosi capi di broccato e seta.

Il film è ambientato da qualche parte in pieno inverno: il paesaggio è infatti ricoperto di neve in ogni angolo. Aschenbrödel però se ne va in giro spavalda, affrontando il gelo siberiano, ricoperta soltanto da una striminzita pelle di pecora dall’aria assai consunta, che, in condizioni normali, avrebbe dovuto provocare la polmonite a chiunque. Ma lei niente: incurante di tutto, compresa la matrigna-scorfano che la tratta a pesci in faccia, se ne va in giro cantando gioiosa con i passerotti, come nelle migliori tradizioni delle protagoniste delle favole, che riescono ad avere il cuor contento anche se vittimizzate da una stronza e a noi ci fanno tanto arrabbiare, perchè non si capisce come fanno a non essere invece depressissime. Dunque Aschenbrödel, durante una delle sue scampagnate all’aperto in pelle di pecora, incontra lui: lui Prince Charming, lui l’eletto, lui l’uomo del suo cuore (e guarda caso è proprio il principe del regno, mai il maniscalco o il figlio del fruttarolo, no). E qui casca subito l’asino. Cioè, bisogna che mi facciate capire come ci si possa innamorare istantaneamente di un tipo in calzamaglia colorata, col caschetto da femmina e la faccia da lesso. Ma chiudiamo anche l’altro occhio e andiamo avanti con la visione del film. Aschen che cosa fa? Apre una delle noci magiche e si traveste anche lei da lessa, con calzamaglia cheap e parrucca a caschetto in testa. Per conquistare il suo principe, ovvio, si mette sulla sua stessa lunghezza d’onda. Va bene che adesso i leggings sono tornati di moda, ma quelli del film sono veramente da catalogo Postalmarket della stagione scorsa! Anzi, scusate. Mi devo ricredere…il paio metà arancione e metà bianco con le ghiande a stampa è, o era, il must-have della collezione autunno inverno 1234-1235. Un vero maipiusenza, un pezzo originale che non può mancare nell’armadio di ogni giovine che si voglia sentire fashion.

In ogni caso, tornando al principe, si può dire che lungo tutto il film egli si comporti per lo più da coglione. In pratica resta passivo e inerte die ganze Zeit  senza fare un emerito piffero e aspettando che Aschen faccia tutto, pure chiedergli di uscire la prima volta. Ecchecavolo! Fai qualcosa, no? Approcciala, invitala a ballare, mettile una mano sul sedere, che ne so. Ma lui, no, vi assicuro: la guarda con l’occhio da merluzzo, ma non prende l’iniziativa e si aspetta invece che gli cada la mela in bocca; o la gnocca tra le braccia. No, non ci siamo proprio: questo film trasmette l’immagine dell’uomo inibito, poco virile, scoraggiato dalla donna manager di se stessa ed aggressiva. Non va bene. Ci vorrebbe una bella rivisitazione in chiave moderna. Pazienza, prendiamo il film così com’è – a questo punto lo spettatore più arguto ha già capito che non può pretendere troppo – e gustiamocelo ed apprezziamone i momenti più alti. Primo: la danza di uno degli amici del principe sempre in calzamaglia, che potrebbe equivalere a un nostro momento odierno al disco-pub, dove lui però sembra nè più nè meno che Platinette, a causa delle movenze apertamente da drag queen. Contento tu. E secondo: il momento di massima comicità del film, l’attimo clou,  il secondo che dà un significato più profondo all’intera storia: uno dei paggi servitori, in un momento di totale concitatezza in cui tutti corrono a destra e a sinistra alla massima velocità, inciampa e cade. E il collega che cosa fa, invece di dargli una mano a rialzarsi? Nel giro di un nanosecondo, senza pensarci troppo, con spontaneitá e naturalezza, gli molla una sberla in testa! Così, per simpatia! E poi via che prosegue a culo dritto per la sua strada, col tipuz a terra che cerca di capire che caspita è appena successo. Cioè, ma scusa! Io e Torquitax a questo punto del film ci stavamo rotolando sul tappeto per le risate e abbiamo intitolato questo momento ilare “I Corti di Aschenbrödel”. Il film prosegue tra diverse altre amenitá e momenti magici, che però non vi svelo, preferendo lasciarvi il gusto di scoprirli eventualmente da voi.

Insomma, cari lettori, dalla descrizione di cui sopra avrete capito che questo film va assolutamente visto. Pare che in Germania abbia spopolato e sia adorato dalle folle: bisogna guardalo per farsi un’idea della mentalità tedesca! In film come questi risiede il segreto per capire tutto un popolo.

E voi che film avete visto che consigliereste assolutamente a qualcuno che vuole comprendere la cultura di altre genti? Vi prego, fatemi sognare, date una svolta ai miei sabati sera: fatemi il nome di un imperdibile capolavoro straniero!

Stop al Televoto!

EIREEN: Carissimi lettori, amici, fan, nei giorni scorsi abbiamo ricevuto sui nostri blog i vostri numerosi commenti in risposta al nostro post “Primo Giveaway Torquitax-Eireen” e, devo dire, li abbiamo letti tutti con interesse e piacere. Siamo stati più che contenti di vedere quanto amore e cura ci fosse in alcune delle righe che sono arrivate e curiosi di leggere quello che il nostro piccolo concorso vi aveva ispirato.  La Germania è… per ciascuno di voi qualcosa di diverso: la patria degli avi, il paese dei sogni, il paese dei ricordi, il paese d’accoglienza, il paese del puro turismo. Ciascuno di voi ci ha regalato un punto di vista diverso sulla Teutonia e di questo non possiamo che ringraziarvi comunque, a prescindere dal premio. Vi diremo: non è stato facile scegliere. Io e Torquitax abbiamo discusso parecchio su ciascuno dei commenti giunti “in redazione” e poi, quando tutto sembrava deciso, sono anche arrivati dei last minute di partecipanti esitanti, magari un po’ timidi, che non avevano osato dire la loro fino a quel momento. Dopo lunga consultazione, abbiamo tuttavia dovuto raggiungere un verdetto; abbiamo voluto premiare il commento che ci è sembrato più spontaneo, poetico, spiritoso, sentito  e così ecco ciò che abbiamo deciso…. rullo di tamburi….pausa volutamente allungata…suspense….primo piano su Eireen con volto sorridente…primo piano su un signore del pubblico, poi dettaglio ancora su di lui che tiene la mano a sua moglie…. ripresa della Frauenkirche fuori dalla finestra….figura intera su Torquitax in smoking di fianco ad Eireen, e infine.……………..”Signore e signori, il vincitore è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è è….Landsliiiiiiideeeeeeeeeeeeeeeee!  Rottura della tensione, Eireen e pubblico che applaudono, inquadratura di Landslide a bocca aperta e con le mani sul volto che ripete: “non ci posso credere!”, musica trionfale in sottofondo….

TORQUITAX:Ma le sorprese non sono finite qua gente, durante la valutazione dei commenti, ci trovavamo sempre indecisi tra due e poiché non ci andava di tirare a sorte per far vincere un solo commento (e poi non dite che non siamo persone buone e brave), bhe, abbiamo pensato di istituire un premio di consolazione. Non ve l´aspettavate vero? Bhe nemmeno noi a dir la veritá. Eppure l´idea ci è venuta spontanea e abbiamo fatto uno strappuccio alla regola. L´unica cosa che distingue i vincitori è la scelta. Il vincitore, Landslide, puó infatti scegliere da sé il regalo, mentre il secondo arrivato riceverá uno dei restanti quattro regali senza poterlo peró scegliere (ovviamente siamo aperti a un suggerimento da parte del suddetto). Ed ora, grazie Eireen per avermi passato la busta, vince…il premio di consolazione come secondo commento piú quotato…rullo di tamburi prego….Reeeeeeeeeeedpozzzzzzzzzz. Sì, signore e signori, il primo Giveaway Eireen-Torquitax si conclude nel seguente modo: vincitrice-sbanca botteghino è lei, Landslide, vincitore (morale) invece Redpoz. Ragazzi coi vostri commenti in extremis ci avete veramente sconvolto i piani, avevamo tutta una rosa di finalisti e poi siete arrivati voi ed è stata finita, avete sbaragliato la concorrenza. Complimentissimi!!!! E ora passiamo alla parte tecnica. Chiediamo a Landslide e Redpoz di mettersi in contatto con uno dei due giudici, tramite messaggio privato, per saperci dire quale regalo spedire al vincitore e quale regalo il secondo arrivato desidererebbe ricevere dalla giuria senza la certezza peró di riceverlo (un po´di suspence, dai, ci vuole) e ovviamente per darci nome, cognome, indirizzo e cittá per la spedizione, poi ovviamente vogliamo anche sapere codice fiscale, numero del conto corrente…tanto per sapere qualcosina in piú su di voi ecco!

Per contattarci scrivete a: eireen74@gmail.com oppure torquitax@hotmail.it

Ca va sans dire che vogliamo vedere scritti sotto a questo post i commenti dei due vincitori con l´emozione del momento, i ringraziamenti di rito e il discorsetto strappalacrime che non puó mancare mai in queste occasioni. A tutti gli altri concorrenti invece, va il nostro ringraziamento piú sentito per la partecipazione e per l´impegno che ci avete messo! Ci ha fatto veramente piacere leggerli, trovarne ogni giorno sempre di nuovi e capire cosa è la Germania per voi.

Per questo primo giveaway, that´s all folk! Passiamo e chiudiamo!

Primo Giveaway Torquitax-Eireen

 

 

 

 

 

 

Parla Torquitax: Ne è passato di tempo da quando ho deciso di aprire il blog, comunicare i miei pensieri, pubblicare le mie parole e espormi cosi al giudizio di estranei che in una maniera del tutto casuale avrebbero incontrato il mio spazio, lo avrebbero letto e nella migliore delle ipotesi avrebbero lasciato una traccia del loro passaggio commentando uno dei post. Ero uno sbarbatello fresco di laurea, con tanti sogni nel cassetto, con la passione per la Germania e Monaco in particolare. Bramoso di esprimermi liberamente, senza filtri o timori di offendere chicchessia. Poi, una sera d´agosto, mi sono imbattuto nel blog di Eireen, durante la ricerca frenetica di un´opportunitá per espatriare, per impacchettare la valigia e sistemarmi nella cittá italiana piú a nord. Che rivelazione e che risate il suo blog. E quanto coraggio trasudava da quei post. Anch´io voglio fare come lei pensavo, anch´io voglio sperimentare tutto questo. E senza rendermene conto diventavo un suo fan nonchè lettore affezionato. La parte migliore dopo i post erano ovviamente i commenti. Non si capisce l´importanza dei commenti finchè non se ne ricevono e figuratevi la gioia quando la mia prima commentatrice è stata proprio lei, Eireen. Il resto è storia. Il mio blog racconta tutto. Come ho partecipato alle selezioni per il tirocinio e come in una maniera del tutto imprevista abbia avuto la mia opportunità, delle difficoltà incontrate al mio arrivo qui e di come sempre lei mi abbia salvato. Confrontando le nostre impressioni da blogger, entrambi siamo d’accordo nell’affermare che un blogger non può realmente essere tale senza i suoi lettori, senza i commenti che gli assidui o i saltuari lasciano, contestando, polemizzando, suggerendo nuove idee, dicendosi assolutamente d’accordo. Quello che voi lettori ci date non ha prezzo, è prezioso, sono i vostri commenti che ci spingono ad osservare più attentamente, a essere il più dettagliati possibili, a perfezionare il nostro stile nel tentativo di farvi ridere. Sentiamo che è quindi venuto il momento di sdebitarci un poco con voi, di offrirvi un pezzo della nostra esperienza, di donarvi un segno tangibile della nostra riconoscenza. Insomma, questo Giveaway è per voi!

Per conoscere le regole e le modalitá di partecipazione, lascerò ora la parola alla mia stimabile collega Eireen. A me spettava l’introduzione, spero di non avervi fatto cadere addormentati (che son stato pesante forte, diciamolo pure va’), ma anzi di avervi un filo inorgogliti e perché no, anche incuriositi!

Cari lettori, riprendo il filo del discorso di Torquitax. Torquitax, chi è costui, mi sono domandata la prima volta che ho notato un suo commento ad un mio scritto. Da brava blogger incuriosita, sono così andata a cliccare sul link che compariva e toh, che cosa ti scopro? Un divertentissimo, nonchè interessante e coinvolgente blog, in cui si parlava di tutto un po’, della Germania, di argomenti di attualità, di sogni, di progetti. E più leggevo, più m’intrippavo. Più andavo avanti a scuriosare tra i post, più ero incollata allo schermo con pop-corn e bibita, canottiera e rutto libero. Insomma, pensavo, questo Torquitax scrive proprio benino, bravo lui! E così continuavo a seguire le sue avventure on line e ad appassionarmi al suo progetto di emigrare, sostenendolo virtualmente e facendo le capriole per aria alle notizie dei suoi progressi. Finchè un giorno il nostro eroe è emigrato davvero in quel di Monaco; poi la vita ci ha portato a conoscerci di persona e a “ciacolare” spontaneamente come due comari imbizzarrite, parlando e sparlando dei reciproci ed altrui blog e delle nostre vite. Ed ecco che un giorno, tra uno scambio di e-mail pettegole e l’altro, è nata questa pazza idea del Giveaway. Perchè in effetti, come ha sottolineato Torquitax, i nostri blogghi non sarebbero quello che sono senza i nostri lettori, dai fan più convinti, a quelli che passano di qua una volta sola e poi basta, a quelli che cliccano sui nostri post per noia, a tutti quelli che sognano un giorno di abitare in Germania come noi.

Dunque, per andare dritti al punto: siore e siori andiamo a esporvi di seguito il regolamento del primo Giveaway Torquitax-Eireen (ta-dàààà!).

Attenzione, però, si tratta di un Giveaway diverso dagli altri, non con le solite regole, non con le classiche richieste sul tipo:

Per partecipare alla premiazione è indispensabile nell’ordine: mettere “Like” su Facebook a questo post. Non avete un profilo FB? Apritevelo. Condividere il post su Twitter. Non avete nemmeno un account Twitter? Apritevelo. Segnalare questo scritto su Google +. Non sapete che cos’è Google +? Neppure io, ma apritevi un account e segnalate lo stesso. / Parlare a tutti i vostri amici dei nostri blog e convincerli a diventare “followers” insieme a voi. / Lasciare un commento per ciascuno dei nostri singoli post fin dalle origini dei nostri due blogghi.

No, cari lettori, noi pensiamo che se qualcuno ha voglia di segnalare uno dei nostri post su un qualsiasi social network o di lasciare un commento, dovrebbe farlo spontaneamente.

Tutto quello che vi chiediamo, invece, e che ci piacerebbe davvero vedere è una vostra testimonianza di poche righe dal titolo “Per me la Germania è…”. Dite quello che pensate della terra in cui vivete, vorreste trasferirvi oppure anche, perchè no, odiate con tutto il cuore. Lasciatevi sgorgare da dentro poche – o molte – parole e condividete quello che vi passa per la testa. Scrivete sotto a questo post, su uno o su entrambi i blog, ciò che questo titolo v’ispira.

Vi lasciamo dieci giorni di tempo per esprimervi e il 19 marzo, dopo che una giuria accuratamente selezionata con criteri rigidissimi (composta cioè da me e Torquitax), avrà scelto il commento più interessante, pubblicheremo il nome del vincitore. Attenzione, dunque, la scelta del vincitore non sarà effettuata con un meccanismo random, come solitamente nei Giveaway. Qui contano piuttosto la creatività e la fantasia.

E che cosa vince il vincitore, direte giustamente voi, ormai giunti allo stremo della curiositá? Bene, ecco un’altra novitá rispetto ai soliti Giveaway. Il vincitore potrà infatti scegliere il suo premio tra quelli elencati di seguito, tutti strepitosi e imperdibili, dei veri e propri maipiùsenza.

1-    Uno splendido libro “111 posti da non perdere a Monaco di Baviera” (in tedesco natürlich);

2-    Un’affascinante raccolta di cartoline storiche su Monaco in preziosa scatola di alluminio;

3-    Un imperdibile classico sempre attuale di Monaco: il boccale di birra tradizionale. Un must per decorare i vostri salotti.

4-    Una scorta di specialità bavaresi, quali Weisswurst e Leberkäse.

5-    Una bella confezione del tipico Kräutersalz, per poter condire al meglio le vostre pietanze ed arricchirle di vero sapore germanico.

Che dite? Sono abbastanza ghiotti i nostri premi? E allora che cosa aspettate? Date il via al gioco, non esitate, lasciate una vostra traccia qua sotto. E in bocca al lupo!!

I vostri Torquitax ed Eireen

FAQ

https://dieitalienerin.wordpress.com/faq/

Herr Doktor!

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Sono arrivata a Monaco il 14 agosto. Il 18 avevo la bronchite. No, non sto scherzando: ho infatti una lieve tendenza alle infezioni dell’apparato respiratorio.

I primi giorni facevo finta di niente, mi comportavo da eroina e cercavo di resistere al malanno, sperando che passasse da solo. Trascorrevo la giornata tossendo ed emettendo strani rantoli di gola, fino a preoccupare la collega della stanza accanto, che dopo un po’ che udiva questi gracidii sospetti, mi è venuta a mettere una mano sulla spalla e a dire “It doesn’t sound that good, you know”.

Che uno dice: “Scusa, ma un salto dal dottore, proprio no?”. Embeh sembra semplice, ma vacci tu dal dottore, quando a) sei appena arrivato in una terra straniera e ti ricordi a malapena qualche parola della lingua locale, perché sono 10 anni che non la parli b) non hai la più vaga idea di come funzioni il sistema sanitario c) non sai dove caspita pescare un dottore decente o anche solo un dottore d) ancora non hai ricevuto dal tuo datore di lavoro la tessera di assicurazione sanitaria.

Alla fine è stato il mio capo a costringermi a rivolgermi a un medico quando, tra il serio e il faceto  – come si usa dire – mi ha detto: “Con tutta quella tosse, prima o poi ci infetterai!”. Allora mi sono rivolta allo zio Fritz e gli ho chiesto per caritá di indicarmi il nome di un medico di base che mi potesse dare una mano. E lui prontamente ha fatto. Così mi sono ritrovata dal personaggio più buffo che io abbia mai incontrato qui. Il dr. Manicaretto – pare infatti che il suo cognome qua in Baviera abbia questo significato – ha due baffoni a manubrio, un sorriso congelato sul viso, un sincero interesse per i suoi pazienti e la mania di dire “gel?” (pronuncia “ghel”=vero?) a chiusura di ciascuna frase che pronuncia.  “Sie sind die Frau Eireen, gel? Kommen Sie bitte rein, gel. Es ist kalt heute, gel?”. Comunque, per evitare di scrivere un trattato su di lui, vado al sodo: il dr. Manicaretto parla solo tedesco, con pesante inflessione bavarese. Non parliamo poi delle receptionist del suo studio, che ho dovuto affrontare, ovviamente terrorizzata, per accedere a lui. Non mi dilungo sugli equivoci sorti a causa del mio tedesco del cavolo di allora e della mia ignoranza su come gira il sistema sanitario in Germania. Vi dirò solo che sono uscita da quella prima visita sperando nel profondo del mio cuore di avere azzeccato a descrivere i sintomi e che le medicine che il doc mi aveva prescritto fossero quelle giuste. Perché dovete sapere che sono talmente cogliona, che pur di non dover spiegare in tedesco che erano diversi anni che soffrivo di bronchiti ricorrenti e che quindi forse non bastava un antibiotico, ma ci voleva la visita dal pneumologo, sono stata zitta e mi sono limitata a dire: “Ho molta tosse”.

Così ho deciso da sola che era necessario un pneuomologo e iniziato a ravanare su Internet per trovarmene uno. Criteri: che parlasse inglese e che avesse lo studio in una parte della cittá che conoscevo. Criteri impeccabili eh? Un genio sono. Solo dopo mi sono resa conto che la zona della città prescelta, il centro, era sì conosciuta, ma anche lontanissima da dove lavoro e quindi rendeva l’ufficio scomodo da raggiungere dopo la visita, facendomi perdere così ore preziose di permesso. Va bene. Poi altra lezione ricavata: meglio evitare medici che si spacciano per conoscitori dell’inglese e poi lo sanno così così. Altro esempio è la pediatra del bambino bionico, che non appena attacco a parlare nella lingua di Albione, s’impanica visibilmente e passa al tedesco senza pietà, nonostante sulla sua web page sia scritto a chiare lettere che visita volentieri i piccoli pazientini in inglese. Perchè evitare questi personaggi? Perchè è troppo importante, in questo campo, farsi capire e capire a nostra volta bene, senza equivoci. Si tratta pur sempre della nostra salute no? Inutile andare dal medico per un mal di fegato e ritrovarsi con la prescrizione di un ciclo di fisioterapia per la rotula; non ha senso. Allora mi sono decisa ad abbandonare le mie convinzioni integraliste, i.e. sono in Germania e ogni volta che posso mi devo sforzare di parlare tedesco, e mi sono votata alla scelta di medici che parlassero anche l’italiano. Anche perché credo sia fondamentale che essi riescano a leggere i referti di visite fatte nel Belpaese, senza che io debba diventare stronza per tradurre, rischiando ancora una volta di cadere in equivoci fatali, alla lettera. E poiché io vado più di frequente da medici vari che a qualunque altro tipo di evento, di qualunque natura, da aperitivi, a mostre, a cinema, a cene…

Così adesso, per ciasuna area di competenza della medicina, ho il mio specialista di fiducia, che per conoscenza della lingua assume varie gradazioni. C’é il medico puramente italiano che si è trasferito qui tanti anni fa e per giunta viene dalla mia stessa cittá natale, così si fanno due chiacchiere finto nostalgiche, ci si dá pacche sulla spalla e ci si sente subito amici; c’é quello tedeschissimo, ma con un italiano favoloso  e solo un leggerissimo accento tedesco, che ti fa rimanere a bocca aperta dalla venerazione; c’é quella russa che ha fatto un paio di semestri a Bologna quando studiava, dunque trent’anni fa, e quindi ti fa le frasi come può, ogni tanto c’infila un termine tedesco con pronuncia russa,  però si  fa capire e poi ispira fiducia, quindi ci si va. La gamma è varia ed interessante devo dire che più di una volta mi sono stupita in effetti di quanto sia diffusa la conoscenza della nostra lingua qui nella capitale bavarese. Voglio dire, uno è medico, studia come un pazzo, magari anche in inglese e si deve mettere pure a imparare l’Italiano? Ma chi glielo fa fare? E invece. Perciò se venite a Monaco e avete bisogno di una dritta in questo senso, chiedete pure senza timori. E voi invece? Siete expat e avete deciso di affidarvi ai medici del luogo oppure al contrario, come facevo io all’inizio, vi fate curare solo in terra natia perché non vi fidate di nessuno? O ancora andate dal dottore solo se accompagnati da qualcuno che traduca? O non ci andate addirittura perché state sempre benissimo? Ditemi. Anzi, ditemi 33.

Radio Expatriescion 107.7

Beeeeeeenvenutiiiiiiiiiiiiiii a tutti gli italiani all’esteroooo! Eccoci ancora una volta al momento clou della traaaasmissioneeeee! Il momento da voi più atteso, più ascoltato, più gettonato, più cooooooool della settimanaaaa! LAAAA CLASSIFICAAAAAAAAAAAA. La vostra classifica personale, esclusiva, esplosivaaaa! Raccontateci la vostra vita all’estero con la vostra top ten. Ricordiamo a tutti gli ascoltatori che possono mandare la loro hit list con almeno dieci posizioni e che le più interessanti, le più coinvolgenti, le più top del top saranno lette da DJ X-PATT in persooonaaaa! Ma adesso basta con le introduzioni e passiamo al vivo, passiamo a premiare la classifica più simpa della settimana. Oh ragazzi questa volta è stata veramente dura scegliere tra le vostre proposte, tutte assolutamente pazzesche, tutte meravigliosissime, tutte da urlo. Ma l’urlo più forte, il botto questa volta l’ha fatto Eireeeeeeeeeeeeeen da, pensate un po’, provate a indovinare, masssìììì, da Monaco di Bavieeeraaaa! Eireen, Eireen, Eireen, sei lì? Sei in linea, sei sintonizzata, sei carica?

E- Ciao a tutti! Ciao DJ X-PATT, non ci posso ancora credere che la mia classifica sia stata scelta, troppo bello.

DJ – Bene, bene, ma sveliamo agli ascoltatori di che cosa si tratta. Vuoi dirlo tu?

E- Beh si tratta della top ten delle parole o delle espressioni tedesche per me più impossibili da pronunciare, per diversi motivi.

DJ- Bravissima, ma entriamo senza indugi nel vivo del discorso, con la posizione nr. 10. Scrivi “Ich schreibe ihn ihr”. Ma che roba è?

E- Quello è il dramma dei pronomi, per di più da declinare. Se devo dire : “Questa è la lettera. La scrivo a lei” (=Das ist der Brief. Ich schreibe ihn ihr), di solito prima mi va in tilt il cervello a pensare “la lettera è maschile in tedesco, in questo caso schreiben regge ‘accusativo e il dativo, quindi  accusativo maschile ihn, poi il dativo di lei, sie è ihr…” e poi mi va in tilt la lingua e intanto sono passati cinque minuti e chi mi stava ascoltando se n’é andato via!

DJ – Fantastico, tutto chiaro. Allora diciamo che è meglio evitare di scrivere lettere per sopravvivere in Germania! E alla posizione 9 che cosa abbiamo?

E – Alla 9 ci ho messo tutte le frasi ultra-complicate, che si costruiscono diversamente dall’italiano. Metti, che ne so, “Avrebbero potuto accettarlo. Se solo l’avessero saputo”.

DJ – Ci rinuncio in partenza!

E – Ecco appunto, ma se sei costretto? Ti sfido a farti uscire dalla bocca, in meno di 3 secondi: “Sie hätten ihn annehmen können! Wenn sie das nur gewusst hätten!”.

DJ – Ma sei un fenomeno! O te l’eri preparata?

E – La seconda che hai detto!!! Ma ti pare? E hai visto che cosa ho messo alla posizione 8?

DJ – La 8, ma certo, la maledizione delle Umlaut!

E – Guarda, neanche se sto qua in Germania fino alla fine dei tempi, riuscirò a ricordarmi la differenza tra ausdrucken (stampare) e ausdrücken (esprimere) e scambierò sempre l’uno con l’altro, dicendo a volte che voglio “stampare i miei sentimenti”!

DJ – Ma sei fortissima! Allora che altre sorprese ci riserva la tua classifica?

E – Ma tu lo sapevi che un sacco di cose che in italiano sono  plurali, tipo i pantaloni o gli occhiali, in tedesco sono femminili singolari (die Hose, die Brille). Solo che il femminile singolare in tedesco é uguale al plurale, sempre in tedesco. Così se senti dire “die Brille” – gli occhiali – puoi pensare che sia plurale e dire “Die Brille sind” (sono) invece che, correttamente “die Brille ist” (è). Guarda, non ti dico gli sforzi ogni volta che vado dall’ottico per farmi uscire la forma giusta di sti Brille.

DJ – Ah se ti può consolare avrei lo stesso problema! Coraggio Eireen, non ti abbattere, siamo tutti con te, vero ragazzi? Vai così!!!

E – Vabbeh adesso viene la parte più incasinata, cioè quelle parole che sono impronunciabili di per sè, nel senso che hanno un suono che può venir fuori bene solo se hai l’epiglottide teutonica!

DJ – Dai, non tenerci sulle spine! Dicci tutto Eireeeeeen!

E – Tanti auguri di buon compleanno!

DJ – Grazie mitica, ma mancano ancora 4 mesi al mio comple!

E – Ma nooo…Herzliche Glückwünsche!! Dai prova a dirlo anche tu!

DJ – Magari la prossima volta eh? Intanto passiamo in  quinta posizione! Vedo, vedo… zusätzliches Meeting?? Ma che cos’è, si mangia ahahahha!?

E – Taci che ieri ho avuto la bella idea di dire al mio capo che “da ora in poi hai un meeting aggiuntivo, un zusätzliches Meeting”. Mi sono piantata a metà espressione! E io che volevo sfoggiare un parolone per impressionarlo.

DJ – Ma che sarà mai!!! E alla quarta posizione che cosa troviamo?

E – Uno scioglilingua doc, in tema con la stagione. Quando devi spalare la neve dal vialetto, ad esempio, fai un annuncio: “Ich gehe Schnee schippen”, vado a spalare la neve, e poi ti sfido a non dire “Schnee schNippen”. Io infatti dico “Schnee räumen”. Stesso significato, meno stress senza tutte quelle sch schn.

DJ – WOW e adesso entriamo nella zona calda della hit list. Al numero 3 troviamooooooo….

E – Ich bin nicht die richtige Ansprechspartnerin, non sono la persona giusta con cui parlare; si dice nelle telefonate di lavoro. Guarda io ci ho provato una volta, dopodichè mi sono arresa e da allora dico semplicemente “Sie müssen mit XY sprechen” “Lei deve parlare con…”. Ma chi me lo fa fare di dirgli prima che non deve parlare con me? Io gli dico direttamente a chi si deve rivolgere, no?

DJ- Ma infaaaaattiiii! E poi? E poi??

E – E poi e poi, il mio odiato, odiatissimo “kurzfristig”, a breve scadenza. No, ma io dico… è normale avere una parola con solo 3  vocali e ben 8 consonanti, di cui 4 di seguito??? Guarda, dovrei fare un corso di dizione solo per quella parola lì.

DJ – OK, OK, OK e adesso …. tadààà…. che cosa ha messo Eireen alla posizione nr. 1???  Aspe…aspe…no, aspe, giuramelo, non ci posso credere Eireen dai!

E- Eh oh. Sì, lo ammetto, quella è la cosa che in assoluto meno mi sfagiola e che evito come una passeggiata all’englischer Garten in una notte d’inverno.

DJ – Ma come??

E – Deutsch sprechen, parlare tedesco. Mannaggia a chi se l‘é inventata sta cosa. Tutti sti sch schp schpr; niente, io mi incaglio regolarmente a metà, mi areno là in mezzo agli scogli di questo mare magnum che è la lingua tedesca, con questi suoni duri, con tutte queste consonanti che ti attendono al varco per farti l’imboscata e prendersi gioco di te…

DJ – Sí, ma come fai a evitare di dire una cosa del genere? Cioè praticamente impossibile no?

E- Beh il più delle volte me la cavo con “Deutsch reden” che vuol dire la stessa cosa, ma almeno non mi si attorciglia la lingua su se stessa

DJ – Grandissima, veramente mitica! E siamo arrivati alla fine di questo nostro spazio dedicato a voiii! Grazie Eireen, grazie ancora, mi raccomando carica eh! Non ti arrendere. Ma adesso sentiamo chi c’è in linea, pronto, Giacomo, ciao Giacomo allora qual è la tua personalissima parola straniera impronunciabile, dai raccontaci, dove abiti?…

Come tutto è cominciato

Cari lettori, qualche volta mi capita di ricevere e-mail di aspiranti expat a Monaco che mi chiedono come ho fatto a trovare lavoro qui e se posso suggerire loro delle strategie infallibili per trovare a loro volta un’invidiabile posizione e riuscire così a trasferirsi nella città di Ludovico, der Märchenkönig, come ho fatto io. Premesso che non esistono percorsi predeterminati, consigli dispensa-certezze o magie delle magie che si possono applicare a chiunque, io posso soltanto raccontare com’è andata a me e augurare a tutti che vada nello stesso modo, anzi meglio!

Tutto ebbe inizio quando io e il marito supersonico ci conoscemmo, ossia nove anni fa. Ci guardammo negli occhi e in un attimo capimmo che non saremmo voluti rimanere in Italia a lungo, che avremmo invece volentieri costruito il nostro futuro altrove. Tutto ciò a causa delle cause che spingono molti a lasciare l’italico suolo per emigrare altrove: precarietà diffusa, mentalità retrograda, possibilità ristrette di crescita professionale, desiderio di allargare i propri orizzonti e sperimentare qualcosa di diverso. Gli anni dunque passarono, le cose cambiarono, ma il progetto rimase. Nacque il bambino bionico e insieme nacque la convinzione che fosse giunto il momento ideale per levare le tende dal paese natio. Ed iniziò la ricerca di un lavoro all’estero.

La nostra eroina pensò che il modo più intelligente per trovare il tesoro nascosto di cui narra la leggenda, fosse di aggredire senza sosta i siti web delle aziende multinazionali più celebri. D’altronde non aveva lei forse lavorato in diverse aziendone importanti con sedi in tutto il pianeta e non era forse già abituata a muoversi in inglese all’interno di questi ambienti multi-culti? Quale migliore biglietto da visita per acchiappare le simpatie degli uffici personale di questi luoghi magici situati all’estero? Iniziò dunque un percorso irto di ostacoli, prove, nemici e difficoltà di ogni sorta. Alla nostra protagonista furono richieste enormi dosi di pazienza, coraggio, tenacia, astuzia. Tante volte, alla mancanza quasi assoluta di riscontri o risposte, la nostra diletta fu tentata di lasciar perdere, di pensare che in fondo forse si sta così bene a casa, ma chi me lo fa fare, non ho già tutto qua? Tante volte la speranza fu ridestata invano da una risposta illusoria, da un’e-mail che risvegliava ingannevolmente i sogni e i progetti tanto accarezzati. Che gioia infatti certe mattine provava ella nell’aprire la posta elettronica e leggere qualche manciata di righe: “Saremmo interessati al suo CV, ci manterremo in contatto per eventuali posizioni si dovessero presentare in futuro.”. E che delusioni quando poi a queste righe non seguiva nulla di fatto per mesi e mesi. Due però gli episodi degni di nota. Il primo: la mega-multi-nazionale del mobile fa-da-te con sede nel Nord Europa che una volta contattò la nostra impavida ricercatrice di tesori, proponendole un ghiotto colloquio. Oh giubilo, o gaudio, forse la meta agognata si stava avvicinando? Forse stava arrivando il premio tanto atteso? Ahimè dopo due mesi dal messaggio illusorio, ne arrivò un altro che spiegava che, a causa di fulmini e tempeste, la selezione era stata sospesa e un’altro candidato aveva avuto occasione di sconfiggere il drago prima di lei e vinto così non solo il tesoro nascosto, ma anche il trono. Ahinoi. Ma la nostra non si fece abbattere nemmeno in questa circostanza e fu così che, un giorno, imbattutasi per caso nel bando di concorso per un posto alla Corte Europea dei Diritti Umani in quel della cittadella di Strasburgo (secondo episodio degno di nota), non esitò un istante a mettersi in lista per la partecipazione al torneo. E anche in questa circostanza ella affrontò prove su prove, prese treni su treni per recarsi a Roma e a Strasburgo, incontrò persone su persone, pregò preghiere su preghiere. E quando finalmente uscirono i risultati della gara…. tadà…ella era risultata TERZA! Terza su quasi 200 aspiranti, che meraviglia! Peccato che le posizioni offerte fossero riservate…ai primi due della lista! Quante lacrime, quanta sofferenza, quanti sogni di pedalare allegramente per le vie della cittadine francese andati in pezzi. Ma ancora una volta ella ebbe il coraggio di rialzarsi, di non abbandonare la ricerca. Nel frattempo gli anni erano passati, il piccolo principe bionico cresceva e lei si rendeva conto di quanto fosse in effetti prezioso il tempo passato in patria, in famiglia, con gli amici, in preparazione al grande salto futuro. Fu così che una sera di esattamente due anni fa, l’eroina s’imbattè nuovamente in un annuncio affascinante, che parlava di un lavoro interessante anzichennò proprio in quel di Monaco di Baviera, città di una parte della sua famiglia, e proprio in un luogo che si presentava speciale ai suoi occhi, lei, interessata proprio all’argomento di cui si trattava in questa sorta di castello. E fu così, che col cuore pieno di trepidazione, prese coraggio ancora una volta e inviò il messaggio con il proprio curriculum e una lettera di presentazione accuratamente preparata. Poi inviò il tutto e si mise, per l’ennesima volta, in paziente attesa. Attesa che fu presto premiata, in quanto dopo sole quattro settimane…ZAC…magica magia, si ritrovò un invito con tutti crismi a viaggiare, per di più in aereo, fino alla città bavarese, spesata e coccolata di tutto punto. Il viaggio programmato fu addirittura impedito da un vulcano della lontana Islanda, che decise di eruttare proprio qualche sera prima della partenza, provocando così la chiusura degli aeroporti la mattina stessa del grande giorno. Ma lei, incrollabile, prese un autoveicolo e, in men che non si dica, fu a Monaco di Baviera. Grazie alla sua precedente esperienza a Strasburgo (che dunque alla fine non si rivelò inutile), non mancò di sostenere un brillante colloquio e di essere subito richiamata, nel giro di alcuni giorni, per un “ulteriore colloquio”. Nel colloquio in questione le fu addirittura chiesto di affrontare il re in persona, la massima autorità del regno. Ma per la nostra, ormai abituata a tutti i tipi di prove, questa non fu che la più classica delle passeggiate. E poi iniziò la centomilionesima trepidante attesa di un responso, nella convinzione, questa volta, che se il destino le aveva riservato un posto a Monaco, questo sarebbe arrivato, altrimenti la vita le avrebbe fatto arrivare qualcosa di addirittura meglio. E l’attesa fu ripagata in pieno, quando finalmente giunse la magica telefonata del Granduca di Baviera, che la informava che il posto sospirato era stato assegnato ad un’altra eroina, MA lui le chiedeva, in ginocchio, di “accettare la sua mano” o meglio di accettare di andare a lavorare per lui, che da lei tanto era rimasto colpito in occasione del primo, fatidico colloquio. La nostra ne discusse con il proprio consorte, ma bastò uno sguardo fra i due per capire che l’occasione tanto attesa era arrivata, che il momento della svolta era giunto, che il tesoro stavolta era sul serio a portata di mano. Lei dunque disse di Sí al Granduca. O, per citare Manzoni, “la (s)avventurata rispose”. E il resto è, come da copione, storia.

Tu? Lei? Voi? Essi?

Se c’è una cosa che m’infastidisce particolarmente, sono i formalismi. Ad esempio, ho sempre trovato ridicola l’usanza tipicamente italica di chiamare tutti “Dottore”. “Dottore” per me è una parola riservata ai medici, non a chiunque abbia un titolo di studio universitario. Invece questa abitudine di appellare l’altro “dottore” fa un sacco di tendenza negli ambienti lavorativi italiani. “Dottor Gigioni ci vediamo domani per la riunione eh?, “Ma certo Dr. Pupazzi, non mancherò!”, quando magari i due lavorano insieme da anni, ma non sia mai che si chiamino semplicemente Stefano e Giorgio (oppure lo fanno se sono entrambi allo stesso livello gerarchico o se lavorano in una multinazionale con casa madre in America). Per non parlare del fatto che, per stare sul sicuro, bisogna chiamare “dottore” tutti, laureati o meno, così non si rischia di offendere nessuno. Perchè se scrivo un e-mail a qualcuno, apostrofandolo soltanto con “Sig. Taldeitali” e questo invece ha una sudata laurea, poi potrebbe aversene a male, potrebbe sentirsi declassato o sminuito. E allora via con “dottore” a cani e porci, un titolo che più inutile non si può. E lo dice una laureata, una che si è sempre scocciata a sentirsi dire “ Cara dottoressa”. Ma dottoressa de che?

Comunque, a quanto mi pare di capire finora, anche ai tedeschi sconfinfera il fatto di sentirsi chiamare “dottore”. Anche loro ci tengono e anche loro stampigliano orgoglioni il titolone sui loro biglietti da visita per fare bella mostra di sè. In questo, lo ammetto, speravo di trovarli più informali, più alla mano. Invece no. Però, a differenza di noi, i teutonici non si fregiano di titoli che non hanno solo per fare bella figura, la bella figura che a noi italiani tanto piace e tanto invoglia. Rimarrà sempre nel mio cuore, ad esempio, quel mio collega di tanti anni fa, che nella firma in calce alle e-mail aggiungeva sempre davanti al proprio nome e cognome il titolo, che non aveva, di Ingegnere. Ing. Paolo Stufetti, tanto per la bellezza della messinscena. Ma non è peggio la figuraccia barbina che ci si fa poi, quando la verità viene a galla? Non sarebbe stato meglio dire semplicemente la verità sui titoli di studio conseguiti? O si teme di non essere presi abbastanza in considerazione, di non essere rispettati come si deve?

Altra costumanza che io accetto a fatica, é quella di distinguere tra “tu” e “lei”. Lo so che lo fanno anche i francesi (loro addirittura col “voi”), gli spagnoli e i portoghesi, e magari a mia insaputa pure gli olandesi, ma io lo vedo come un eccesso, un orpello, un barocchismo. Secondo me il “lei”, nato certamente come espressione di una forma di rispetto per l’altra persona, ormai nella nostra epoca, mette distanza tra le persone. E il più delle volte porta con sé altissimi rischi di gaffes, offese e malintesi. Non vi è mai capitato, ad esempio, di non capire se il vostro interlocutore fosse più anziano o più giovane di voi o se provenisse da un ambiente più o meno informale e quindi di dibattervi per lunghi secondi nell’indecisione di dargli del tu o del lei? E allora magari gli avete dato del lei suscitando così l’ilarità sua e di altri? A me capitò una volta, appena arrivata su un nuovo posto di lavoro. Ho usato la formula magica “lei” per rivolgermi a una tizia gerarchicamente più in alto di me e con qualche annetto in più, tanto per stare sul sicuro. Ma il trucchetto non ha funzionato. In quel posto di lavoro infatti era abitudine, perlomeno fino a quel determinato livello gerarchico, darsi del tu. Equindi il mio approccio è risultato in quell’occasione pomposo, rigido e persino fuori luogo. Simili situazioni imbarazzanti mi sono capitate più volte con le altre mamme dell’asilo del b.b. in Italia, dove a volte davo del tu, perché tanto abbiamo la stessa etá e siamo come in famiglia e mi vedevo trafiggere da un sopracciglio alzato e altre volte ho dato del lei e, ancora una volta, sono passata per esagerata. Lo so che ci sono problemi più gravi nella vita, per carità. Però.

E comunque anche i tedeschi in questo non sono da meno di noi, anzi sono da di più. Qui in Germania, infatti, bisogna dare del lei (sietzen) sempre e comunque a chiunque. Guai a dare del tu (dutzen), se non in rare e ultrasicure circostanze, tipo tra amici, parenti o colleghi stretti. Ci si dá del lei nei negozi, negli studi medici, negli uffici pubblici e ovunque altro vi venga in mente. E poi si deve fare il nome dell’altra persona accompagnato da Herr (signore) o Frau (signora) il più spesso possibile. Esempio. All’asilo del b.b. in Italia, davo del tu alle tate, ma qui non oso. E infatti vengo sempre approcciata dalla tata del b.b. come Frau Nachname. “Hallo Frau Nachname, guten Morgen. Wir gehen in die Bibliothek mit den Kindern heute Frau Nachname, wissen Sie? Gut, dann bis Morgen Frau Nachname”. Uffa e cheppalle, mollami con sto Frau Nachname, no? Unica eccezione qui sono i negozi molto trendy e cool per gggiovani, dove mi è capitato di chiedere info ai commessi con il “Sie” e mi sono sentita rispondere con il “du” a tempo di rap. E poiché mi sono giá abbastanza tedeschizzata, mi sono pure sentita offesa e ho pensato: ”Ma ke cosa tice qvesto cafone???”. Stessa cosa quando sono tornata in Italia per Natale e in qualunque negozio entrassi, al mio “Non le sembra un po’ grande questo per me?”, mi sentivo aggredire con un simpatico “Oh se vuoi ti faccio provare anche la taglia più piccola eh!”. Ogni volta trasalivo, mentre un tempo mi sarei pure sentita a mio agio! Il processo d’integrazione è diventato irreversibile, temo.

Per concludere tutto questo sproloquio, direi che in un mondo (per me) ideale, ci si chiamerebbe tutti per nome e ci si darebbe tutti del tu, senza distinzioni di sorta, esattamente come si fa in inglese. Che tu parli con la regina d’Inghilterra o con il tuo miglore amico o con un passante per strada, userai sempre e comunque il “you”, che fa sentire subito sullo stesso livello dell’altro. È come dire: “Non m’interessa chi sei, che cosa fai, che cosa hai studiato, quali obiettivi hai raggiunto nella vita, se più prestigiosi o meno dei miei. Non m’interessa che tu t’inchini davanti a me perchè è capitato che io nascessi qualche anno prima o che mi porti un rispetto solo apparente a causa di qualche sbiadita regola di galateo. Quello che conta è che siamo due persone che interagiscono, per breve o lungo tempo, e soprattutto quello che abbiamo da dirci. E il tuo parere vale quanto il mio.”. Ecco così.

I figli crescono e le mamme imbiancano

 

 

 

 

 

 

È venuto il tempo di scegliere la scuola elementare per il bambino bionico. Ebbene sì. Adesso però concedetemi, per cortesia, cinque minuti di sbrodolamento mammesco, di luogocoumunismo, di frasifattismo, di malincotristezza, di fastidiosa banalità: come passa il tempo, mi sembra ieri che desideravo un figlio e adesso lo sto iscrivendo alle elementari, fra poco il mio pulcino avrà 18 anni e volerà via dal nido, certo i figli crescono e le mamme imbiancano. Va bene, grazie, ci voleva proprio, adesso posso rientrare in me.

Nell’ambito della comunità di espatriati, perlomeno qui a Monaco, uno degli argomenti che fa più tendenza tra chi ha figli, piccoli o meno, è il sistema scolastico bavarese. Quando sono arrivata in Germania io non ne sapevo nulla e vivevo felice. Poi ho iniziato a sentire delle voci, a leggere dei post su altri blog di expat, a chiacchierare con i colleghi di diverse nazionalità. Ebbene, pare che la scuola qui sia in pratica una sorta di schiacciasassi: la pressione sugli alunni per studiare sarebbe altissima e questi poveretti verrebbero selezionati prestissimo in base alle loro capacitá intellettuali. Arrivati alla (ancora) tenera età di nove anni, verrebbero infatti indirizzati dai professori verso il loro futuro percorso scolastico, in base ai risultati ottenuti a scuola. In soldoni e per semplificare al massimo la faccenda: se il pargolo è bravino e s’impegna, ha aperta davanti a sè la possibilità di frequentare le scuole più prestigiose della Baviera, dove verrà spremuto, stressato, battuto fino allo sfinimento. Al momento dell’uscita da queste scuole, però, potrà fregiarsi di una preparazione di prima classe e avrà la strada spianata per praticamente qualunque tipo di carriera. Se il bambinello, al contrario, è poco dotato scolasticamente, ahimè, ha il futuro segnato al contrario, ossia dovrà frequentare una scuola di tipo strettamente tecnico, entrare presto nel mondo del lavoro e diventare così, che ne so, un elettricista, un commesso, un tecnico di qualche cosa; magari bravissimo, ma pur sempre escluso dalle zone alte della società, dai livelli superiori di un mondo, quello teutonico che pare sia altamente stratificato socialmente (e quale mondo poi non lo è, ma questo è un altro discorso). Va da sè che ho davvero ridotto tutta la questione ai minimi termini, che la realtà è molto più complessa ed articolata und so weiter und so fort.  Per essere onesta devo dire però che ho sentito anche pareri positivi su questo sistema, pareri di genitori soddisfatti e di ex alunni contenti, che sono sopravvissuti e non hanno riportato traumi infantili di alcun genere, anzi hanno imparato a dare il meglio di sè, ad impegnarsi, a fare sacrifici finalizzati alla costruzione di un futuro solido; oppure che hanno accettato di non essere fatti per studiare e sono riusciti comunque e con serenitá a trovare il loro posto nel mondo.

La mia idea per la scuola del bambino bionico, comunque, sarebbe di tipo tutto diverso. Fin da prima della partenza per la Germania m’immaginavo mio figlio frequentare una scuola internazionale. Eh lo so, chiamatemi fissata, chiamatemi snob, chiamatemi un po’ come cavolo vi pare, ma io a questo tipo di percorso ci credo.  Come ogni genitore, mi stuzzica l’idea di dare a mio figlio quello che avrei voluto avere io e invece, per circostanze varie, non ho avuto. Vorrei vederlo crescere in mezzo ad un ambiente variegato e multilingue con la massima naturalezza; vorrei osservarlo diventare grande mentre si destreggia con spontaneità tra diverse lingue e fa amicizia come se niente fosse con bambini provenienti un po’ da tutta Europa. Lo so che magari suona idealista o troppo romantico, ma a me piace così. E alle scuole internazionali questa possibilitá esiste; e poichè si può anche inserirlo nella classe tedesca di questa scuola, perché non farlo?  In questo modo potrebbe sia imparare alla perfezione la lingua del paese in cui abita, frequentare amici tedeschi, evitando di chiudersi con gli expat, ma anche imparare con facilità una seconda lingua, tipo l’inglese e alla fine, decidere se rimanere qua in Germania, trasferirsi in Italia o sperimentare l’ebbrezza della scoperta di qualunque altro paese al mondo. Il b.b. da grande potrà muoversi come una trottola sul pianeta Terra oppure starsene fermo immobile a Monaco, crescere qui, farsi una famiglia qui, non mettere mai piede fuori dalla Baviera e vivere “happily ever after”. Ma almeno avrà avuto la possibilità di scegliere; almeno avrà potuto valutare; almeno non sarà stato costretto ad adattarsi perché privo di alternative.

Unico neo di tutta questa idilliaca situazione e vero nocciolo del problema: la scuola europea é situata a Sud di Monaco. Noi abitiamo a Nord e io lavoro a Hogwarts, paesino a sua volta a Nord di Monaco, dove si trova anche l’asilo del b.b. Questo significa, se le lezioni scolastiche iniziano alle 8 del mattino, bisognerà che il b.b. sia sul bus della scuola, che passa vicino casa, verso le 7.15. A sua volta questo comporta, per tutti noi, alzarsi all’alba, molto più di adesso, che apriamo gli occhietti sul mondo poco prima delle 7. Orrore. Per una notturna come me, una che si presenterebbe in ufficio con calma alle 10 se potesse, questo significa rivoluzionare la propria intera esistenza, regolare diversamente l’orologio interno, risistemare i miei ritmi biologici. Ce la farò? Ne varrà la pena? Sopravviverò? Il bambino bionico riuscirà a non perdere il bus metà delle mattine? O dovrà salirci, come io sospetto, ancora con le scarpe da allacciare e un toast al miele per metà in bocca? Restate sintonizzati su questo blog e lo scoprirete!

Fai da te

Ho il sospetto che i tedeschi vadano matti per il fai-da-te. No, non parlo del bricolaggio, dell’aggiustamento di ogni piccola falla in casa, della messa a punto di aggeggi elettrici oppure del montaggio di utili e decorativi gadget, quali ad esempio la casetta per il uccellini da piazzare su un ramo in giardino. Parlo di un fai-da-te di tipo risparmioso.

Per farvi capire di che cosa sto parlando, vado subito sul pratico, senza girarci troppo intorno. In Germania se vai dalla parrucchiera, non è affatto scontato, come da noi, che questa ti lavi i capelli, te li tagli e te li asciughi. Quando prendi l’appuntamento, devi specificare punto per punto i servizi di cui hai bisogno: Schneiden, Waschen, Phönen. Soprattutto quest’ultimo è di vitale importanza, perché qui in Tedescolandia si ha la scelta se asciugarsi i capelli o meno da soli: dentro al negozio della parrucchiera, in direttissima, eventualmente pure in vetrina. In pratica il selbstphönen, l’autoasciugatura del vello, è contemplata e vista come modo per evitare di spendere troppi soldi. Prendo in mano il fon e ci penso io e mi tengo in tasca i 12 euro che mi avresti chiesto per il servizio. Vi giuro, le prime volte io ero trasecolata: cioè, ‘na roba incomprensibile per me. Ma non è tutto. La tua macchina è sporca più che mai, si è trasformata irreversibilmente in un porcilaio e urge una drastica ripulita? Vai pure all’autolavaggio, ma non sperare che te la mettano a posto anche dentro. Eh no, a quello ci devi pensare tu. Cioè, direte voi, anche in questo caso posso scegliere se delegare il servizio oppure arrangiarmi da solo? No, no, non ci siamo capiti: devi prendere in mano l’aspirapolvere, accenderlo e cominciare a risucchiare le sozzure del tuo autoveicolo. Stavolta non c’è scelta ok? Sgambettare!! E pare che ai tedeschi questo piaccia, piaccia tanto: loro provano un brividino di eccitazione, sentono l’ebbrezza del risparmio, sono orgoglioni di pensarci da soli.

E poi vogliamo discutere dei regali di Natale? I negozi in Italia, infatti, offrono a tutti i clienti il servizio gratuito dell’impacchettamento regali. Sotto Natale compri un gingillo, vai alla cassa, sborsi il denaro e la commessa ti chiede con un sorriso commercialissimo, se lo vuoi incartato. E poi, in due minuti, crea una meraviglia di carta sotto ai tuoi occhi. La cosa diventa un business da pazzi, con tutti i lavoretti temporanei che ne escono e con tutte le studentesse che si vedono nei negozi ad impacchettare solerti. In Germania no: semplicemente questo servizio non esiste. Vedi un po’ di impacchettaretelo tu, il tuo santo regalino.

Tra le tutte le abitudini tedesche che possono apparire bizzarre, inusuali, inaccettabili, folli, assurde o addirittura sbagliate ai nostri occhi, ne accetto senza problemi parecchie, ma questa proprio no. Fino all’asciugatura fai da te ci posso arrivare, perché si tratta pur sempre di una scelta del cliente. Ma la storia del lavare l’auto e dei regali, proprio non me la digerisco. Perché devo tornare a casa con la macchina lorda e pensarci io? Se ne ho voglia ok, ma se non mi va perché non devo poterti pagare per farlo? Per il pacchettino vale lo stesso discorso: fammi pagare 50 centesimi, se proprio proprio. Però questa possibilità offrimela, santo cielo. Poi decido io. Temo che questo sarà ancora per molto uno degli zoccoli duri del mio processo d’integrazione.